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Lezioni da imparare da fallimenti di startup – 4 casi studio da brividi!


Errori, lezioni, innovazione, fallimento e rinascita: cosa possiamo imparare analizzando casi di fallimenti di startup che hanno fatto storia.

Per Halloween 2020, la nostra rubrica #StorieStartup si strasforma in
“Startup Horror Stories”!
Perché alcuni errori mettono davvero i brrriviidi!

Aver messo in piedi un team valido ed affiatato, essere immortalati in fotografie con sorrisoni e assegni giganti tra le mani, aver chiuso significativi round di investimenti e complimenti da grandi player di settore  (e dal mondo istutuiziole).

Questi sono tutti elementi che rappresentano milestone importanti nella vita di una startup, ma – ahinoi – non sono garanzia di successo e, spesso, contribuiscono a rendere solo più rumoroso il tonfo di un eventuale fallimmento della startup.

Una buona fetta di key opinion leader, di mentor e di scrittori in materia di startup e imprese innovative (soprattutto di stampo nordamericano) ci ha abituato negli anni a considerare il fallimento come una componente realistica e costante della vita di un imprenditore, da cui trarre insegnamenti per ripartire in maniera più consapevole.

Fallimento di una startup: insegnamenti utili da cui imparare

Anche noi ci sentiamo di condividere questa corrente pensiero, senza voler sfociale nella retorica dell’ottimismo e nella volontà (da paraGURU delle startup) o in una “cultura del fallimento“.
Tuttavia, a sotegno di coloro che vedono il fallimento come un processo “naturale” della vita di un’impresa innovativa, ci sono i dati e le esperienze passate: personalità del calibro di Bill Gates, Elon Musk, Steve Jobs hanno sconfitte imprenditoriali nel loro curriculum da cui sono ripartiti e, secondo le statistiche, 9 startup su 10 non superano i 3 anni di vita e oltre il 90% di quelle che supera i 4 anni fallisce poi nel giro di 10.
Possiamo quindi affermare senza remore che il fallimento nella carriera di uno startupper non deve diventare un freno alla sua curiosità ed alla sua intraprendenza imprenditoriale (anche se, ricordiamolo, in Europa non girano investimenti come in America).

Fallimenti di startup…casi studio da brrrriviidii!

Tuttavia, esistono casi di fallimenti di startup da cui trarre insegnamenti, ma che, per motivi diversi, “fanno paura” se si legge quanto tempo e quanti investimenti siano stati sprecati per errori sull’assenza del modello di business, inadeguatezza del prodotto sul mercato o incapacità di tenere testa alla concorrenza.

Per questo Halloween 2020, abbiamo quindi deciso di raccontarvi casi di fallimenti di startup causati da errori che…”mettono i brrrriviidii“!

1 | JUICERO

Cause of Failure: Bad Business Model

Un caso studio che fatto scuola che probabilmente alcuni di voi già conoscono è quello di JUICERO.
Stratup nata nel 2013, Juicero ha portato sul mercato uno spremiagrumi tecnologicamente molto sofisticato, con oltre 400 parti custum (alcune protette anche da brevetti), scanner, antenne wireless e microprocessori avanzati. Il tutto, per spremere in pochi secondi e senza sporcare dei sacchetti di frutta e verdura tagliata e compressa (sulla cui vendita in abbonamento si basa il modello di business).

Juicero, dopo aver raccolto investimenti da numerosi fondi di venture capital per oltre 100 milioni di dollari, ha chiuso nel 2108. Il motivo?

I sacchetti di spremute commercializzate potevano essere spremuti tranquillamente con le mani (anzichè con un lo spremiagrumi hi-tech venduto da Juicero a ben 400$), come ha riportato anche Bloomberg su un articolo. Dopo tale articolo sono iniziati i guai per Juicero, con richieste di rimborso da parte di clienti che aveano acquistato il dispositivo o sottoscritto l’abbonamento.

Chi ha investito in Juicero sperava, probabilmente, che la startup potesse traghettare i consumatori di spremute verso una nuova scelta d’acquisto, simile a quanto successo per il caffè in cialda.
Founders e investitori hanno costruito una business idea basandosi sui trend di un mercato parallelo (ma per nulla uguale) come quello del caffè e sulla moda dei succhi e dei centrifugati che sta ragguindendo una grande popolarità, commettendo così lo spaventoso errore di dimenticarsi una variante fondamentale: come si soddisfa, nella maniera più facile ed economica, il need? Non di certo con un dispositivo poco utile allo scopo!

2 | TEFORIA

Cause of Failure: No Market Need

Un altro caso di cui vogliamo parlarvi – per moltissimi aspetti correlato a Juicero – è quello di Teforia.

Teforia è una startup che ha lanciato sul mercato un prodotto in grado di creare la tazza di tè perfetta, combinando la produzione tradizionale con le smart technologies. Il dispositivo era conneso al Wi-Fi, aveva funzionalità Bluetooth e un’app mobile designata per avviare la macchina, ottenere informazioni sulle foglie di tè, statistiche e opzioni di scelta per il processo di fermentazione.
Teforia inizialmente costava oltre $ 1000, la startup vendeva anche pacchetti di foglie preconfezionati.

Il primo motivo per cui Teforia è stata considerata fallimentare nonostante l’ingente capitale raccolto (parliamo di 17 milioni di dollari) è stata l’assenza di un vero e proprio market need.
Nonostante i dati dimostrino che gli appassionati di tè e caffè sono dei top-spender nel mercato food and beverage, 1000$ per una “macchina per il tè” poteva essere una spesa sostenibile solo da una nicchia di consumatori.
Inoltre, molti appassionati di tè si considerano tali proprio perché utilizzano metodi tradizionali per preparare la bevanda. Secondo alcune recensioni, poi, il tè fatto con il dispositivo di Teforia non aveva un sapore migliore di quello fatto in maniera convenzionale. L’app programmata allo scopo di rendere il rito del tè più comodo e piacevole non era praticamente mai utilizzata.

Il dispositivo di Teforia, insomma, svolgeva molto bene il proprio lavoro di preparazione delle bevande, ma i consumatori di riferimento non erano ancora così “educati” per apprezzare i dettagli di Teforia che rendevano il prodotto così costoso.

È anche plausibile pensare che consumatori e invesitori siano diventati più scettici nei confronti dei prodotti da cucina SMART da quando l’articolo di Bloomberg ha pubblicamente dimostrato l’inutilità di Juicero e dei dispositivi smart di fascia alta per la preparazione di bevande.

3 | TWITPIC

Cause of Failure: Stakeholder Threat

Spondandoci dalle hardware startup verso il mondo digitale, non possiamo dimenticarci del caso TwitPic.

Questa startup era nata nel febbraio 2008 con l’intenzione di migliorare la condivisione di foto e video su Twitter grazie ad un link abbreviato (ricordiamo i famosi 140 caratteri di Twitter). Sin da subito era diventata riferimento per chi voleva condividere materiale audivisivo, su un social come Twitter che non lo permettava. Inoltre su TwitPic si potevano applicare effetti alle foto, modificarne luce e contrasto, ruotarle, ritagliarle e postarle in sequenza. Inoltre, le immagini potevano anche essere commentate; insomma, una sorta di “antenato” di Instagram.

Quando, però, nel 2011 Twitter lancia il proprio servizio per condividere le foto, inizia a contrastare l’accesso alla propria Interfaccia di programmazione a terze parti. Inoltre i legali di Twitter fanno pressioni a TwitPic riguardo al marchio (accusato di creare confusione degli utenti) e chiedono la sua cancellazione. In caso contrario, Twitter avrebbe impedito a TwitPic l’accesso alle API.

TwitPic, non potendo permettersi di competere in una battaglia legale con un’azienda come Twitter,  ha quindi deciso di abbandonare il campo.

Il fallimento della startup, in questo caso, non è stato determinato da macchie sul modello di business  o dalla mancanza di un need di mercato, ma dal fatto che TwitPic ha costruito il suo servizio su una piattaforma altrui, perdendo di fatto la libertà di decidere del proprio destino, restando esposta totalmente all’arbitrio di chi ospita.

4 | BOO.COM

Cause of Failure: Marketing before Product

boo.com è stato uno dei più grandi casi di fallimento della “bolla dot.com” scoppiata all’inizio del millennio. Se decenni dopo stiamo ancora parlando del fallimento di questo pionere dell’abbigliamento sportivo online è perché le cause del fallimento di boo.com sono senza tempo e rappresentano un caso studio di fallimento di startup da tenere in mente per i marketer di tutti i tempi.

Quando boo.com è stato fondato nel 1998, i suoi tre fondatori erano già milionari grazie ad una Exit realizzata con un precedente e-commerce (di libri). Boo era destinato a essere la loro prossima storia di successo: il primo grande store online di articoli sportivi, per tutti i tipi di sport: un’azienda alla moda per la generazione X vogliosa di acquisti su internet.
Tuttavia, gli oltre 100 uffici internazionali di boo.com hanno dovuto chiudere nel 2000. Che cosa è andato storto?

Hanno iniziato a commercializzare il sito prima ancora che boo.com fosse online, mettendo in piedi un’enorme campagna pubblicitaria da milioni di dollari che aveva reso il marchio noto a livello mondiale e generato grandi aspettative sulle novità di User Experience (in un’epoca di internet dove ancora si parlava poco di UX design).

Tuttavia, i soldi investiti nella campagna di comunicazione hanno sottratto risorse e rallentato di molto lo lo sviluppo del sito, soprattutto riguardo la tecnologia per la sicurezza trasazioni economiche (ancora buggata al giorno d’oggi), lo sviluppo di un virtual shopping assistant ante litteram ed il fatto che il sito diveva essere lanciato in contemporanea in numerosi paesi del mondo.
Tutto ciò, mentre altri siti competitor diretti di boo.com andavano online e conquistavano fette di mercato, e mente le persone si dimenticavano della pubblicità da cui erano stati bombardati, ma solo mesi prima.

Lezione appresa: il marketing dovrebbe sempre spingere un prodotto. Mai (o quasi mai) il contrario.

APPROFONDIMENTO SULL’ARGOMENTO

Se volete approfondire o segnalare altro casi di fallimenti di startup, potete fare un giro nel “cimitero” di portali come https://www.failory.com/.
Dove le idee dannate, vivono ad eterna memoria!!!